Angeli, demoni & inquisitori. L’ordine giudiziario e la psicologia di Ettore Perrella
Claudio Foti è stato finalmente e totalmente assolto dalle accuse infamanti che gli erano state mosse nell’inchiesta “Angeli e demoni”. Il complesso delle accuse sulle gestione istituzionale delle adozioni a Bibbiano sembra incominciare a sgonfiarsi, anche se i tribunali non sono venuti ancora a capo dell’intera vicenda.
Su quell’inchiesta si era svolta alcuni anni fa una vergognosa campagna scandalistica, che aveva coinvolto sia molti politici sia la stampa. Quindi il fatto che Foti sia stato definitivamente scagionato ci rassicura sulla capacità della giustizia italiana di valutare e smontare anche delle accuse che riguardavano in queste cose la psicoterapia che egli praticava.
Tuttavia dobbiamo riconoscere che, quando si costringe una pratica “psico-” nel letto di Procuste del diritto, si perde ogni capacità di giudizio sul principio che sta alla base della sua efficacia. Perciò la sentenza definitiva su Foti ha assolto non solo lui, ma anche l’ordinamento giudiziario, che il precedenza l’aveva condannato.
Preciso, per cominciare, che qui non distinguerò fra psicologia, psicoterapia e psicanalisi, anche se fra questi tre concetti, che purtroppo oggi diventano sempre più vaghi – non c’è quasi nessuna relazione. La differenza fra queste tre pratiche, infatti, quanto alla loro relazione con il diritto, non ha nessuna importanza, benché ne abbia moltissima, invece, in relazione alle modalità che adottate da queste pratiche. Che io sia lieto dell’assoluzione, infatti, non significa di certo che condivida le modalità della terapia EMDR.
Avevo conosciuto i lavori di Foti, e del gruppo torinese Hansel e Gretel, diversi anni fa (molto prima di Bibbiano), e mi erano parsi ben impostati, dal punto di vista clinico. Quello che affermavano a proposito dei bambini mi fu molto utile, soprattutto per elaborare una mia concezione clinica delle dipendenze e delle perversioni.
Perciò rimasi molto perplesso delle accuse infamanti che gli erano state mosse. Di conseguenza, non potendo seguire i dettagli giudiziari della vicenda, mi ero astenuto da ogni valutazione, ed avevo messo per così dire fra parentesi l’intero problema, in attesa del giudizio definitivo, che è stato finalmente pronunciato, dopo anni di gogna mediatica.
I media, come si sa, sono sempre indotti a semplificare brutalmente le cose, per “far passare la notizia”. Di conseguenza, quello che raccontano è spesso totalmente falso. È come dire che le notizie tendono sempre a diventare fake news. Ma anche i tribunali sono costretti a semplificare, riducendo i problemi degli individui ai termini del diritto. E pure noi “psico-” semplifichiamo, quando attribuiamo a qualcuno una diagnosi, per di più con l’impudenza di richiamarci alla scienza, invece che all’etica che dovrebbe guidare la nostra pratica. Perciò noi “psico-” – come i giornalisti, i politici e i giudici – dovremmo non dimenticare mai che la semplificazione è pericolosa, quando si deve giudicare un individuo, perché, se allora non rimane spalancata la porta dell’eticità, diviene una colpa anche giudicare.
Come ha scritto Rolamdo Ciofi nella sua “Newsletter” (giugno 2023), a proposito dell’assoluzione di Foti,
pregiudizi e posizioni ideologiche si sono intrecciate in questa vicenda sollevando un gran fumo che ha oscurato non solo la verità ma anche il sapere scientifico […]. Foti è stato seriamente accusato […] di avere provocato con nesso causale, attraverso una manciata di sedute, un disturbo bordeline di personalità in una ragazza diciasettenne […] (ipotesi risibile secondo la quale ogni collega potrebbe essere accusato di procurare i danni che si impegna a curare).
Le accuse giudiziarie, però, sono sempre risibili, se i giudici non si accorgono che la giustizia, che dovrebbero amministrare nelle loro sentenze, è superiore al diritto, e non può dipenderne, se non si vuole che il diritto coincida con la tirannia e l’ingiustizia.
Purtroppo già in passato ho dovuto constatare che spesso i pareri formulati dagli “psico-” non vengono letteralmente capiti dai giudici, proprio perché contengono valutazioni che sono necessariamente sfumate, e non rientrano nello schema giudiziario, che, non potendo non essere formulato “in termini di legge”, procede sempre sulla base della distinzione netta fra il sì o il no, fra il bianco o il nero, fra l’innocenza e la colpa. I giudici non dovrebbero mai limitarsi ad applicare una legge, dovrebbero invece usare le leggi per quello che sono: uno strumento e non una fonte del diritto.
Purtroppo oggi gli stessi “psico-” troppo spesso ragionano in termini di diritto, producendo così un danno alla libertà che dovrebbe guidare la loro pratica. Lo abbiamo visto nei non pochi casi di quegli psicanalisti che sono stati accusati di esercizio abusivo della psicoterapia, come se la psicanalisi non fosse che una delle tante forme di quest’ultima. E le migliaia di psicoterapeuti esistenti oggi in Italia che cosa hanno fatto, rispetto a questo abuso giuridico? Niente, anzi si sono rassicurati, dimenticando anche loro che, come la giustizia precede il diritto, così la relazione fra psicanalista e psicanalizzante di tutto ha bisogno, eccetto che dell’equiparazione ordinistica e professionale. E questo dovrebbe valere anche dal punto di vista giuridico, visto che il diritto al lavoro, nella Costituzione italiana, precede tutti gli ordinamenti e gli obblighi professionali.
Purtroppo, nell’attuale incultura spacciata per informazione, tendiamo tutti a riferirci a schemi generalizzanti, che sono esattamente agli antipodi di quelli che dovremmo utilizzare noi “psico-”. E questo rischia di ridurre le nostre pratiche a un’ignoranza non solo legalizzata, ma anche obbligatoria. Infatti la cultura che è necessaria a ciascuno di noi non può ridursi alla competenza professionale burocratizzata, per esempio negli obblighi dell’aggiornamento ECM, il cui principio sembra essere che non si possa essere un professionista, se non si è un ignorante.
Perciò il caso di Claudio Foti può essere utilissimo anche a ricordare a noi “psico-” che non dobbiamo divenire complici d’una logica informatizzata che, alla fin fine, riduce sempre la libertà a reato.