settembre 2021

Il caso Assange. Perché la libertà di stampa deve importare anche agli analisti di Ettore Perrella

1. Negli ultimi dieci anni, avevo sentito parlare più volte, come tutti, di Julian Assange. Non avevo un’idea precisa sulla sua vicenda. Sapevo che aveva pubblicato dei file coperti da segreto di Stato, e questo me lo faceva sembrare simpatico. Ma anche che aveva violentato due donne in Svezia – almeno così si diceva –, e questo mi dava un’immagine di lui del tutto contraddittoria. Sapevo poi che per anni si era rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, finché non era stato arrestato, per una richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti. Sabato scorso (segnatamente il 4 settembre 2021), m’ero chiesto se acquistare un libro che lo riguardava1. Avevo soprasseduto, benché il tema proposto dal titolo, Il potere segreto, mi sembrasse utile a fornire qualche spunto di riflessione, in questi mesi in cui tanto si parla, a proposito dei vaccini anti-covid, di non so che complotto internazionale, che vorrebbe, con la scusa della pandemia, asservire l’intero pianeta a una dittatura universale.

Per puro caso, nel pomeriggio di quello stesso giorno, mi sono imbattuto, su Rai3, in una puntata della trasmissione Presadiretta, in cui Riccardo Iacona parlava molto a lungo di Julian Assange, e intervistava l’autrice del libro che non avevo acquistato la mattina. Sia la vicenda di Assange, sia il libro che la esponeva con tutti i dettagli, mi sono parsi d’assoluto interesse. Perciò l’indomani mi sono precipitato in libreria, dove ho comprato l’ultima copia disponibile.

Iacona nella trasmissiome e Maurizi nel libro hanno toccato degli argomenti fondamentali, su cui vale la pena di riflettere anche dal punto di vista della psicanalisi. C’è infatti, nella vicenda di Assange, qualcosa che assomiglia molto alla situazione attuale della psicanalisi. Ken Loach, nelle due magnifiche pagine di prefazione al libro della Maurizi, parla della “abietta vigliaccheria della stampa e dei media, che si sono rivelati incapaci di difendere la libertà del giornalismo”2. L’analogia sta tutta qui: anche gli analisti hanno avuto una “abietta vigliaccheria”, quando si sono accomodati nella posizione di operatori sanitari, invece di difendere la libertà, per chiunque, e del tutto a prescindere dalle leggi dello Stato3, di formarsi attraverso un’analisi.

Certo, l’analogia può sembrare forzata, perché i giornalisti si occupano dell’informazione, mentre gli analisti si occupano della formazione (e non della psicoterapia). Ma anche informare – se l’informazione non è filtrata o edulcorata – è un compito formativo e, in una democrazia, è essenziale nell’orientare l’opinione pubblica. Ne consegue che il giornalismo, quando è libero, ha una funzione politica immediata. L’opinione pubblica – non dimentichiamolo – ha un’importanza essenziale nelle democrazie. E poi quale compito politico possa avere, in certe situazioni, la stampa, lo si è visto, per esempio, quando un’inchiesta giornalistica ha costretto il Presidente Nixon a dimettersi. Ne consegue pure che anche quello che fanno gli analisti ha una funzione politica, per lo stesso motivo: contribuendo a formare gl’individui, anche la psicanalisi svolge una funzione politica imprescindibile. Solo che gli analisti non lo sanno – o piuttosto fingono di non saperlo –, quando si rifugiano nella posizione comoda degli operatori sanitari, come non lo sanno i giornalisti, quando seguono piattamente le indicazioni, anzi la propaganda dei governi.

Ora, Julian Assange, per anni, ha reso pubblici dei documenti che erano secretati e dai quali risultava che, per esempio, la guerra americana in Iraq e Afghanistan non era affatto “pulita” come sosteneva il Governo statunitense, visto che vi sono morti migliaia di civili innocenti, mentre il terrorismo non è stato affatto sconfitto.

L’Italia ha partecipato ad entrambe le guerre. Nella seconda sono morti più di cinquanta soldati italiani e sono stati spesi più di otto miliardi (mentre i governi italiani nel frattempo riducevano, per esempio, le spese sanitarie e quelle relative all’educazione). E con quali risultati? L’esercito che i soldati italiani avrebbero dovuto contribuire a formare s’è sciolto come neve al sole, quando gli Stati Uniti hanno deciso di concludere una guerra assurda durata vent’anni. Sapere tutto questo è centrale, politicamente, anche per noi, proprio perché i politici italiani, su tutto questo, continuano a tacere.

Ora, Julian Assange, nel momento in cui scrivo, è ancora recluso in un carcere di sicurezza in Gran Bretagna, aspettando un secondo processo, che dovrebbe decidere se concedere la sua estradizione negli Stati Uniti, dove sicuramente rimarrebbe in galera per tutto la vita. E qual è stata la sua colpa? Smascherare il cinismo sanguinario prima di tutto del Pentagono, poi della Cia (Central Intelligence Agency) e infine della Nsa (National Security Agency). Questi tre centri di potere, in complicità con “il complesso militare-industriale degli Stati Uniti”4, operano segretamente, ma non sono affatto segreti, anzi influiscono in continuazione sulla politica mondiale, anche italiana5. Perciò il parallelismo con i supposti centri di potere occulto cui si riferiscono gli oppositori della vaccinazione è solo apparente. Il Pentagono, la Cia e la Nsa tengono il segreto sul loro operato, ma non sono affatto segreti. Il Pentagono, del resto, è il ministero della difesa degli Stati Uniti, e quindi rientra direttamente nella sfera del governo.

2. I sistemi democratici dei Paesi occidentali sono regolati da costituzioni, che prevedono sempre la libertà di stampa. Ciò significa che i giornalisti sono autorizzati ad informare la popolazione su qualunque tema. Esistono però anche dei documenti che sono coperti da segreto di Stato, ai quali perciò i giornalisti non hanno accesso. Ora, un giornalista che riveli dei segreti di Stato, nel caso che nel sistema si procuri una falla, è coperto o no dalla libertà di stampa? Per il Governo degli Uniti la risposta non può che essere negativa, visto che Julian Assange è considerato un pericoloso criminale proprio perché non ha rispettato questo segreto; anzi ha pubblicato in WikiLeaks – che in effetti è una sorta di giornale in rete – dei documenti che gli sono stati passati da componenti dell’amministrazione dello Stato, che trovavano quei documenti inaccettabili e contrari ad ogni legittimità democratica e costituzionale.

Uno dei motivi per cui Assange avrebbe violato la legge è che la pubblicazione di tali documenti avrebbe messo a rischio la vita di alcune persone. Quest’accusa però non era vera, scrive Stefania Maurizi, perché una piccola porzione dei file è stata messa da parte [da WikiLeaks] perché potrebbe mettere in pericolo i collaboratori locali o rivelare dei veri e propri segreti militari6.

In altri termini, Julian Assange non si è comportato come uno sconsiderato o, peggio, come una spia, ma ha solo preso alla lettera la Costituzione degli Stati Uniti sulla libertà di stampa, senza mettere in pericolo la vita di nessuno, né le operazione militari. Certo, pubblicando quei documenti, e per di più valutando che cosa pubblicare, non è stato nella posizione del cittadino acquiescente. Ha pensato invece che fosse giusto rivelare dei documenti segreti perché le istanze governative si erano macchiate d’una colpa ben precisa: quella di mascherare come collateral murders quelli che erano in realtà dei crimini di guerra (i primi sono l’uccisione preterintenzionale di civili nel corso di un’azione militare, i secondi invece sono degli atti intenzionali e deliberati mascherati da azioni militari7).

Julian Assange non si era sentito in dovere di fare questa scelta in quanto cittadino (del resto non lo era in nessuno dei tre Paesi che l’hanno accusato, visto che è nato in Australia), ma semplicemente in quanto essere umano. Quando “Der Spiegel” gli chiese perché aveva fondato WikiLeaks, rispose:

Si vive solo una volta e quindi abbiamo il dovere di fare un buon uso del tempo a disposizione e di impiegarlo per compiere qualcosa di significativo e soddisfacente. Questo è qualcosa che io considero significativo e soddisfacente. È la mia natura: mi piace creare sistemi su larga scala, mi piace aiutare le persone vulnerabili e mi piace fare a pezzi i bastardi. E quindi è un lavoro che mi fa sentire bene8.

I criteri di questa scelta, quindi, sono in primo luogo personali ed etici, prima d’essere anche politici, e non hanno niente a che fare con il terrorismo o lo spionaggio. WikiLeaks, del resto, è un programma globale, che non rientra nella competenza di nessuno Stato. I “bastardi” sono invece quei politici che ritengono che gli Stati possano commettere crimini di guerra lasciandoli impuniti, come se fossero dei collateral murders. È proprio questo che Julian Assange riteneva colpevole – colpevole eticamente, prima che giuridicamente –, e perciò voleva informare l’opinione pubblica di questa colpa, rendendo di pubblico accesso i relativi documenti.

Il suo, allora, è stato un crimine? A me pare di no. Credo anzi che abbia fatto quello che era giusto, per garantire che la democrazia fosse effettivamente tale, e non un vuoto nome.

Tuttavia, bisogna notare un altro punto importante. Le accuse che si sono state mosse provenivano dagli apparati giudiziari di alcuni Stati (gli USA, in primo luogo, ma anche la Svezia e la Gran Bretagna). Ora, non so se il concetto di “crimine di guerra” faccia parte del codice penale degli Stati, ma so di sicuro che esso corrisponde ad un reato di cui sono chiamati ad occuparsi i tribunali internazionali, che possono addirittura giudicare e condannare anche degli uomini di Stato che ne siano ritenuti responsabili (è stato il caso di Milosevic). I tribunali internazionali, tuttavia, per quanto siano stati istituiti in seguito ad accordi fra Stati, sono concettualmente superiori al livello statale della sovranità9: se esiste un tribunale internazionale, la sovranità di cui è espressione è ancora, senza dubbio, quella degli Stati che li hanno voluti, ma l’oggetto su cui essi possono formulare delle sentenze è in qualche modo superiore a quello dei tribunali nazionali; i tribunali internazionali, insomma, giudicano in base a dei princìpi giuridici potenzialmente superiori ai princìpi legali dei singoli Stati. Se così non fosse, in effetti, questi tribunali sarebbero totalmente illegittimi e inutili.

Il caso Assange, come si vede, consiste esattamente in questo: che un individuo qualsiasi è ritenuto colpevole da alcuni Stati perché ha operato aggirando i sistemi giuridici di quegli Stati. Egli si è riconosciuta l’autorità di giudicare degli apparati di governo quando questi non rispettano dei criteri di giustizia realmente democratici. Così facendo si è posto quindi in una prospettiva etica sovrastale. Ripeto: eticamente, qualsiasi essere umano può giudicare dei comportamenti – anche i comportamenti di alcuni Governi – e questo giudizio non comporta nessun piano giudiziario, perché non siamo su un piano giuridico, ma etico. Quando un comportamento etico diventa un crimine, a sbagliarsi non è l’etica, ma l’amministrazione del diritto.

Tuttavia, informando l’opinione pubblica, Assange si è riferito al giudizio anche politico dell’opinione pubblica. Ha detto a tutti coloro che hanno avuto accesso al sito che quanti li rappresentavano negli apparati governativi delle democrazie erano dei falsi democratici, perché erano in realtà degli assassini o dei ladri (alcuni documenti riguardavano in effetti delle banche). Assange, quindi, si è rivolto alla vera fonte della sovranità delle democrazie, che è la comunità popolare, del tutto a prescindere dai confini tra gli Stati. Il suo processo di democratizzazione dava potere ai lettori comuni: non erano solo recipienti passivi di quello che riportavano giornali, televisioni, radio, ma per la prima volta avevano accesso diretto alle fonti primarie e questo diminuiva l’asimmetria tra chi aveva questo privilegio, come i reporter, e chi no10.

Dietro il problema “Assange è colpevole o innocente?” se ne nasconde quindi un altro: di chi è realmente la sovranità, nel mondo d’oggi, in cui tanto l’economia quanto l’informazione non dipendono realmente più dagli Stati?

La risposta che dà Assange, attraverso la libertà di stampa, formalmente riconosciuta da tutte le costituzioni democratiche, è che la sovranità effettiva, nelle democrazie e nel mondo globalizzato, non è degli Stati, ma degli individui. E degli individui in generale, del tutto a prescindere dalla loro iscrizione giuridica come cittadini di questo o quello Stato. La sovranità che egli – forse senza saperlo chiaramente – ha evocato è quella dell’umanità in generale. E per difendere questa tesi Assange vive da anni in reclusione, forzata o volontaria, e rischia di passare tutta la sua vita in un carcere degli Stati Uniti, se un tribunale della Gran Bretagna ritenesse di doverlo estradare verso quel Paese, che ne ha fatto richiesta.

Come si vede, il problema posto dal caso Assange trascende di molto le vicende di una singola persona, perché è un problema radicale, che tutti gli Stati del pianeta ritengono cruciale: di chi è realmente la sovranità, nel mondo d’oggi, visto che non è degli apparati di governo? Assange è stato ritenuto dagli apparati di governo un criminale perché, a questo domanda, ha dato una risposta chiara, dicendo che la sovranità reale è delle persone, e non della burocrazia dei ministeri. Dinanzi alle accuse che gli vengono mosse, tutti – noi analisti in primo luogo – dovremmo sentirci obbligati a difenderlo. Ed è per questo, in fondo, che sto scrivendo questa recensione.

3. À la guerre comme à la guerre, dicono i francesi. Se si va in guerra, si producono inevitabilmente delle morti “collaterali”. Ma utilizzare la guerra per commettere dei crimini che non hanno nessuna utilità, per decidere di chi sarà la vittoria, è un fatto che il diritto di guerra ritiene colpevole e che può essere condannato giuridicamente da un tribunale internazionale.

Tuttavia non dobbiamo ingannarci, perché, dal 1939 in poi, le vittime di tutte le guerre sono state soprattutto i civili. Hitler, quando utilizzò la guerra per massacrare gli ebrei, commise senza dubbio un crimine. Ma gli americani, quando distrussero Hiroshima e Nagasaki, furono forse migliori di lui? In realtà le guerre, da che mondo è mondo, hanno sempre danneggiato, se non distrutto, intere comunità, con i saccheggi, le stragi, le violenze, la messa in schiavitù dei perdenti. È quindi realistico distinguere le “uccisioni collaterali” dai crimini di guerra? O questa distinzione ha una realtà solo giuridica, per cui quest’accusa va bene per i vinti (per esempio i nazisti) ma non per i vincitori (per esempio gli americani)?

Il fatto è che l’amministrazione degli Stati è di fatto basata sui princìpi distruttivi della guerra più che sulle leggi democratiche e liberali che regolamentano i Governi occidentali (questo risulta almeno dai documenti secretati). Il problema non è soltanto di chi è eletto per governare, ma di tutti quegli apparati che di fatto non vengono eletti, e che spesso orientano l’applicazione delle leggi in una direzione che può talvolta rimanere legale, ma anche in questo caso è pur sempre illegittima, almeno nello spirito del diritto occidentale. E, quando questa contraddizione è secretata, può accadere di tutto, per esempio che la burocrazia si ritiene giustificata dal compiere qualsiasi delitto, se lo fa per salvaguardare la parvenza del rispetto della legalità. La burocrazia diviene allora complice d’un reticolo d’interessi – prima di tutto economici – che in pratica coincidono con la criminalità, oggi come al tempo del nazismo.


1. S. Maurizi, Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks, Chiarelettere, Milano 2021.

2. Ibid., p. X.

3. Preciso che nessuna legge italiana si riferisce alla psicanalisi, mentre solo la legge 56 del 1989 si riferisce alla psicoterapia. Tutto il problema giuridico della formazione degli analisti dipende dal modo in cui viene interpretata questa legge, cioè dal fatto che i tribunali considerano la psicanalisi come una forma di psicoterapia, mentre gli analisti, da Freud a Lacan, non lo hanno mai fatto, come purtroppo, in seguito all’approvazione della legge in questione, hanno fatto molti sedicenti analisti italiani (e non solo italiani).

4. Ibid., p. 3.

5. Si vedano a questo proposito le relazioni degli ambasciatori statunitensi in Italia, sia di centro-destra sia di centro-sinistra, che sono state pubblicate da WikiLeaks. Cfr. ibid., p. 118-29.

6. Ibid., p. 65.

7. Ibid., p. 36.

8. Ibid., p. 60.

9. Questi tribunali non sono sempre esistiti, ma sono stati concepiti solo dopo la seconda guerra mondiale, in seguito a quella svolta nel diritto che fu resa possibile la prima volta dal processo di Norimberga.

10. Ibid., p. 63.