Che ne è, oggi, della democrazia? di Ettore Perrella
Oggi, domenica 14 luglio 2024, sono stato svegliato dalla notizia dell’attentato a Trump in Pennsylvania. Il verbo “svegliare” è relativo solo al passaggio fisiologico fra la notte e il giorno. Sapevo già da lungo tempo che la democrazia, oggi, è dovunque in una crisi profonda, dalla quale potrebbe non risvegliarsi mai.
Walter Veltroni, che rappresenta per me un tempo in cui, nella democrazia, si poteva credere ancora con qualche verosimiglianza, lo ha scritto chiaramente nel “Corriere”, evocando delle frasi pronunciate da Lincoln e da Kennedy. Ecco la prima: «Quel tempio cadrà, a meno che noi non dotiamo l’edificio di nuovi pilastri, tratti dalla solida cava della fredda ragione». Ed ecco la seconda: «Prima che il mio periodo di carica finisca dovremo fare nuove prove per dimostrare che una nazione organizzata e governata come la nostra potrà durare. Il risultato non è affatto certo».
E proprio questo è il punto. Come scrive Veltroni, nel momento in cui ci troviamo a vivere, anche gli Stati Uniti sono esposti al rischio di «un cambio sostanziale di regime, verso le nuove forme di ipocrita “democratura” che nascondono il volto digitale dell’autoritarismo».
Non c’era bisogno del sangue all’orecchio di Trump e di due morti ammazzati (che, in questo momento, non si sa ancora chi siano) per saperlo. Come poteva la più grande democrazia del pianeta essere costretta a scegliere, come Presidente, come ha detto un giornalista italiano, «fra un delinquente e un deficiente»?
E questo – si badi bene – non è un problema solo americano, perché abbiamo visto tutti che nell’Europa democratica hanno sempre più successo dei partiti di una destra per niente liberale, che spesso si ricollegano anche esplicitamente al più cupo passato nazi-fascista.
Quindi, che sta succedendo alla democrazia?
Sta succedendo, a mio modo di vedere, questo: a un certo punto della storia, quando, nel 1989, la contrapposizione ideologica fra l’occidente capitalista e l’oriente leninista è finita, per la bancarotta dei regimi comunisti, la sinistra, nei paesi occidentali, è scomparsa.
Certo, non sono mancati dei tentativi di ravvivarla a freddo, come per esempio, in Italia, quello compiuto da Prodi si creare un Ulivo che riunisse tutti i partiti di centro-sinistra, o il successivo tentativo di creare un partito – il PD – che ha lo stesso nome di quello il cui candidato alla presidenza degli USA è John Biden (un ottantenne che non apre bocca senza fare un lapsus). Ma questi tentativi non hanno funzionato. Ed oggi l’aeroporto della Malpensa ha il nome d’un pregiudicato, che non è Trump, ma Silvio Berlusconi.
Perché questi tentativi, in Italia, sono, fino ad oggi, falliti? Perché si è preteso di contrapporre alla custodia da parte delle destre dei privilegi dei privilegiati, una sinistra senza ideologia. E questo non è accaduto solo in Italia, ma dappertutto, sull’intero pianeta.
Beninteso, le ideologie contrapposte del tempo della guerra fredda non erano affatto un gran che. Ma, dietro le ideologie, si muovevano ancora degli ideali: a destra quelli del liberalismo, a sinistra quelli della lotta di classe marxiana: entrambi rispettabilissimi e concettualmente solidissimi. Purtroppo, con la fine delle ideologie, hanno naufragato anche gl’ideali.
Evidentemente la causa di questo è stata il fatto che la destra ha ottenuto che il neutralismo apparente dell’economicismo, scientificizzante solo in apparenza, fosse ritenuto affidabile anche dalla sinistra. E perciò, mentre il potere economico salvaguardava i propri interessi, perché aveva smesso da tempo d’essere veramente liberale, i partiti di sinistra si sono appoggiati sugli stessi ideali delle destre: con il risultato di continuare a perdere le elezioni. Infatti gli elettori, fra una destra vera e una sinistra falsa, scelgono inevitabilmente la prima.
In questo momento gli Stati Uniti e l’Europa sono su un crinale. Se non si produrrà un elemento nuovo, le democrazie occidentali saranno sicuramente trasformate tutte, entro dieci anni, in democrature apparenti. Dando così la vittoria all’ideologia per niente liberale e per niente democratica di Putin e di Netanyahu (non dimentichiamo che l’Ucraina e la Palestina stanno combattendo due guerre sanguinose, mentre noi ci gingilliamo con le false sapienze della rete informatica).
Ora, qual è «la cava della fredda ragione» di cui parlava Lincoln? E che cosa garantirà che il sistema democratico abbia ancora un futuro, come diceva Kennedy?
La risposta a questa domanda l’aveva già data nel 1915 un altro americano, John Dewy, in Democrazia e educazione, quando aveva notato che la democrazia, per funzionare, esige che una maggioranza della popolazione sia dotata di un’effettiva educazione: che non è quella tecnica e professionale, ma quella sostanziale e morale.
Purtroppo, negli ultimi decenni, anche le sinistra hanno ridotto l’educazione – che, per essere democratica, dev’essere libera, e non “scolastica” – all’acquisizione di competenze tecniche, facendo così il gioco delle destre.
Noi psicanalisti l’abbiamo constatato de visu: la psicanalisi – che per Freud e per Lacan dev’essere una libera pratica formativa – è stata ridotta alle psicoterapie; e gli psicoterapeuti sono ridotti oggi a non essere considerati che degli operatori sanitari, allo stesso titolo degl’infermieri e degli allenatori. Insomma, abbiamo smesso d’essere degli intellettuali.
Ecco dov’è il problema: oggi occorre urgentemente che tornino ad esistere ed a farsi sentire degl’intellettuali.
Se questo non accade, la democrazia è finita. E per l’intera tradizione culturale e civile dell’occidente inizierà una lunga e desolata decadenza, priva di sbocchi e priva di futuro.