Verità etica e verità politica. Ancora a proposito di Carlo Calenda di Ettore Perrella
1. Il mese scorso ho pubblicato in questo giornale una recensione assolutamente positiva d’un libro di Carlo Calenda. Tuttavia, mentre la scrivevo, temevo che Calenda non si accordasse con il PD per le prossime elezioni. Perciò ero stato molto rassicurato dal venire a sapere che l’accordo, invece, era stato fatto. Ieri tuttavia ho sentito dallo stesso Calenda, in un’intervista fattagli da Lucia Annunziata, che ha cambiato idea.
Mi chiedo: avere un chiaro programma politico basta ad ottenere successo, quando fra poco più d’un mese verranno rielette le Camere? E sappiamo molto bene quanto sia essenziale oggi che il prossimo Parlamento italiano sia capace di compiere delle scelte politiche costruttive, invece di portare l’Italia su posizioni ambigue e sovraniste, in una situazione interna ed internazionale pericolosissima.
La questione non è – o almeno non è solo – d’urgenza elettorale. È anche più generale, perché riguarda la relazione fra etica e politica. Per cominciare pongo allora una domanda: nell’etica e nella politica la verità funziona nello stesso modo?
Mi spiego meglio. La verità non è un assoluto monolitico, ma dipende dal tempo e dalle situazioni. Siccome, come diceva Lacan, la verità non si può mai dire tutta, semplicemente perché le parole non bastano per dirla, bisogna tenere conto del fatto che essa è sempre, anche nella migliore delle ipotesi, parziale. Infatti, quando diciamo il vero, anche mentiamo, non fosse che perché le parole semplificano sempre la realtà delle cose. E qualche volta diciamo il vero anche quando mentiamo, per lo stesso motivo.
Questo, certo, non basta a rendere la verità e la menzogna equivalenti. Ma, quando parliamo, ci rivolgiamo sempre a qualcuno. E per persuadere non basta dire la verità, qualche volta bisogna anche mentire. Per essere dei buoni politici non basta la logica, se non è accompagnata da una buona capacità retorica, che faccia apparire il vero non solo garantito, ma anche preferibile.
Allora ripongo la domanda: in etica e in politica la parola “verità” ha lo stesso significato? Io penso di no. Beninteso, so bene che Carlo Calenda, rinunciando all’alleanza col PD, ha detto la verità su quello che pensa. In questo modo però s’è assunto la responsabilità di consegnare la maggioranza alla destra: cosa che, nella situazione attuale, mi sembra rischiosissima. Quindi credo che abbia fatto malissimo. Ed ora proverò a spiegare perché.
2. Condivido pienamente quello che pensa Calenda: in Italia è tempo che i partiti politici dicano chiaramente che cosa si propongono e come pensano di riuscire a realizzarlo. Ma per realizzare un programma politico ci vuole una maggioranza. Per lo meno questo principio vale nelle democrazie. Allora, è più importante essere onesti e dire quello che si pensa, o riuscire a mentire in quello che si dice e riservare a dopo – a successo ottenuto – di tentare di realizzarlo?
Per essere dei buoni pensatori bisogna trarre conseguenze vere sui problemi che si affrontano. Per essere buoni politici, invece, bisogna anche convincere che la proposta che facciamo è preferibile. E, siccome gli uomini si fanno facilmente irretire da quello che desiderano, bisogna tenere conto dei loro pregiudizi. Per fare questo, non basta dire il vero, e qualche volta, anzi, il vero non si può proprio dire subito, ma bisogna aspettare che l’interlocutore sia disposto ad ammetterlo.
In politica, insomma, le cose non sono molto diverse che nella psicanalisi. Un analista che abbia un po’ d’esperienza sa che a volte deve aspettare anni, per dire quelle verità che lui intuisce subito, ma che l’analizzante non sarebbe pronto a riconoscere. Dire tutto subito peggiorerebbe molto le cose, forse fino al punto da rendere l’analisi impossibile. E lo scopo dell’analisi non è che capisca l’analista, perché a dover capire è l’analizzante.
Lo stesso vale in politica. E se qualcuno mi obiettasse che sto seguendo un principio gesuitico, risponderei che è perfettamente vero. Il gesuitismo è il meglio che abbia prodotto l’Italia negli ultimi secoli. Che la stragrande maggioranza degli esseri umani preferisca le illusioni alla realtà è sicuramente un problema, per la politica, ma questo problema è insieme sociale e culturale. Oggi, quale partito politico sta facendo delle proposte sensate sull’educazione? L’ultima proposta è stata di creare una categoria di superprofessori, obbligandoli a seguire dei corsi d’aggiornamento triennali. Ma in questo modo si trasformano coloro che dovrebbero formare le nuove generazioni in apprendisti, e non si migliora affatto il livello formativo dell’educazione.
Per tutti questi motivi temo che la parola “verità” in etica e in politica significhi cose diverse. Certo, la verità etica è molto più importante delle verità politiche, che sono sempre delle mezze verità. La verità etica, a differenza di quella politica, è sempre individuale, perché riguarda l’atto che compiamo. A compiere gli atti sono sempre i singoli, anche se si occupano di politica, e non sono mai le masse. Ma nelle votazioni decidono le masse, cioè le maggioranze. Quindi i politici devono tenerne conto.
Fino a che punto? Stabilirlo dipende dalla loro saggezza. Perciò Freud diceva che tre sono i mestieri impossibili: analizzare, educare, governare. A svolgere questi mestieri non s’impara a scuola, ma con l’esperienza. Quando ci s’illude che il rispetto delle regole scolastiche basti a migliorare la soluzione, si peggiorano le cose, facendo sì che nessuno più si esponga al rischio di confrontarsi con la verità. In questo modo si producono masse d’ignoranti, altro che superprofessori.
Vorrei aver torto, ma tempo che Carlo Calenda non otterrà un successo elettorale sufficiente ad aiutarlo a migliorare la politica italiana. La politica non si fa con le “mani pulite”. Certo, nemmeno con le mani sporche. Ma, come dice il proverbio, “chi va al forno s’infarina”. La verità deve aspettare, quando nessuno ancora è pronto a riconoscerla.
3. Per ottenere una maggioranza occorre convincere più della metà dei votanti che una proposta politica è migliore di un’altra. Non è un grande criterio, ma è l’unico di cui disponga una democrazia, che, fino a prova contraria, è la migliore delle forme di governo oggi possibili.
Non è un grande criterio, perché anche Hitler giunse al potere con una votazione democratica, che gli consentì di mandare al diavolo la democrazia e di provocare una guerra mondiale e decine di milioni di morti.
Non è un grande criterio, dicevo, perché la democrazia, per funzionare decentemente, richiede che la maggior parte di un popolo sia composta da persone avvedute, colte, oneste, che sappiano che la cosa pubblica non è meno importante, per ciascun cittadino, dell’appagamento dei propri desideri. Insomma, la democrazia non può esistere, se non è supportata da una cultura solida. E nulla oggi è meno solido della cultura, anche fra i politici.
Sicuramente, come riconosce lo stesso Calenda, l’Italia affonda sempre più nell’ignoranza. Lo possiamo dire con certezza, anche perché vediamo che negli altri paesi europei e negli Stati Uniti le cose non vanno molto meglio. La politica, abbandonando le ideologie novecentesche, non ha saputo costruire altre illusioni. E così non è riuscita a divenire popolare. Non a caso il primo partito, oggi, in Italia, è quello di chi non va nemmeno a votare.
Purtroppo sono le illusioni, e non le verità, a trascinare le masse. Noi italiani abbiamo imparato da Machiavelli quanto l’esercizio del potere sia necessariamente connesso con il delitto e la menzogna. Non c’è bisogno di risalire al Rinascimento per accorgersene, dal momento che questo non è meno vero quando gli Stati Uniti invadono l’Afghanistan o la Russia invade l’Ucraina. E noi italiani – anzi noi europei – tendiamo a misconoscere questa evidente verità, perché affrontarla richiede molta forza. Una forza che non abbiamo. Perciò, in mancanza di nuove ideologie, preferiamo le illusioni.
E su questo purtroppo non ci sono dubbi: le illusioni che sbandierano le destre sono molto più efficaci di quelle che la sinistra non riesce nemmeno a far intravedere.
Spero d’avere torto. Ma temo che le prossime elezioni saranno vinte dalla destra, perché la sinistra non riesce ancora ad avere un progetto politico coerente. Il riformismo liberale proposto da Calenda è la via giusta, ma è anche la più difficile da realizzare, a meno di non truccarla da facile illusione.
Tutto sarebbe più semplice se la verità, in politica, bastasse per avere ragione. Ma allora vivremmo nella Gerusalemme celeste, non sulla terra. Peccato che nella Gerusalemme celeste nessuno si occupi di politica, perché la verità è immediatamente evidente per chiunque, quindi non ci sono decisioni da prendere, né guerre da combattere. Né elezioni da vincere.
nella foto: Annibale Carracci, Allegoria della Verità e del Tempo (1584/85)