Viva la resistenza! Pensierini per la festa della liberazione di Ettore Perrella
Oggi è il 25 aprile, festa della liberazione. Da che cosa? Dal fascismo e dalla guerra. E, guarda caso, circa un mese fa avevo recensito, nel giornale dell’Accademia per la Formazione, un libro di Scurati ed uno di Canfora, che riguardano il fascismo. E ancora, guarda caso, Canfora sta affrontando un processo in cui deve difendersi da un’accusa di diffamazione per aver detto che il (o la) Presidente del Consiglio sarebbe una “neonazista nell’anima”, mentre un breve intervento su fascismo e antifascismo di Scurati è stato “scurato” dalla trasmissione di Rai 3 per cui era stato previsto.
In complesso, tutto ciò ha fatto molta propaganda sia a Canfora che a Scurati. Ma non è questo il punto. Il punto è un altro: perché gli italiani, più d’un anno fa, hanno reso Fratelli d’Italia il partito di maggioranza relativa nel nostro paese?
La Costituzione della Repubblica italiana è dichiaratamente antifascista. Com’è possibile allora che un governo italiano non sia capace di dire che è antifascista, e crede di risolvere il problema dicendo che il fascismo è finito nel 1945, mentre tutti sappiamo bene che un filo nero ha accompagnato la storia della nostra Repubblica, dagli anni Cinquanta fino ad oggi? E che questo filo nero si ricollega magari solo ad una minoranza di quel partito di maggioranza che ha vinto le elezioni? Insomma, noi italiani siamo forse nostalgici del ventennio fascista?
Tutto sommato, non lo credo proprio. Ma il fascismo e il populismo si assomigliano molto e qualche volta si sovrappongono, come se fossero la stessa cosa. Com’è possibile allora che in Italia – ma anche in altri paesi europei, perché questo problema non è solo italiano – oggi non ci si accorga che gli attuali successi della destra populista rischiano d’esporre il nostro continente certo non all’olio di ricino e alle camicie nere, ma ad un autoritarismo che non è sostenuto da nessun programma politico credibile? Perché succede questo?
Fra l’altro, c’era una volta una politica di destra che meritava un profondo rispetto, e che ha collaborato alla vita della nostra Repubblica, finché è durata (la politica di destra, perché la Repubblica spero che durerà ancora a lungo: tutto sta a vedere come).
Il problema, tuttavia, è più vasto, e non riguarda solo la destra liberale, ma anche la sinistra socialista e comunista. Un tempo c’erano delle idee politiche chiare e contrapposte, alle quali corrispondevano sia degli ideali politici, sia delle ideologie politiche. Con il risultato che si sapeva per chi si andava a votare, perché i partiti corrispondevano almeno ideologicamente a degli ideali e a delle idee politiche.
Poi i partiti sono scomparsi, negli anni di “Mani pulite”. E non solo perché quasi sempre erano stati gestiti da “mani sporche”. Questo non sarebbe bastato a cancellare le ideologie, e a rilanciare il populismo sull’intero fronte della politica italiana. La cosa è cominciata con Silvio Berlusconi, ma poi è proseguita con la Lega Nord, con il Movimento 5 Stelle, con il renzismo. E sono nati i partiti personali, non fondati sulle ideologie, ma sulla figura più o meno carismatica d’un leader, sui siti web e sulla televisione. Ivi compresi i conflitti d’interesse. Il minimo che si possa dire è che non è stato affatto un progresso.
La creazione del Partito Democratico avrebbe dovuto essere una risposta di sinistra, o almeno di centrosinistra, a questa tendenza. Ma appunto: questo partito è nato da un compromesso fra gli ex-comunisti (dopo la morte di Berlinguer) e la sinistra democristiana, ma escludendo la sinistra laica e radicale. E soprattutto demolendo appositamente il radicamento popolare che il PCI, trasformato in DS, pure aveva mantenuto nelle sue sezioni.
Perché si è voluto rinunciare all’ideologia? Ed alla base popolare dei partiti? Oggi se ne scontano le conseguenze. Infatti, anche i tre partiti italiani di destra hanno idee molto diverse, ma governano in modo compatto non per le ideologie, ma per un reciproco interesse. Invece la sinistra ha continuato a divedersi attorno a delle sfumature, che impediscono ai diversi partiti di riconoscersi su posizioni comuni, consegnando così il paese alle destre. Con la conseguenza che il primo partito italiano è diventato quello degli astenuti.
Aggiungo una parola sull’Europa, visto che tutti i partiti (sempre più sedicenti tali) sono in piena campagna elettorale per le prossime elezioni europee. Manca totalmente, nei partiti, una prospettiva comune all’Unione Europea. Se l’Unione Europea ha un parlamento – magari serve a poco, ma è sempre meglio di niente – ci dovrebbero essere anche dei partiti europei, invece che delle federazioni verticistiche di partiti nazionali. E invece manco l’ombra. E questo non fa bene all’Unione Europea, ma non fa bene nemmeno ai singoli Stati che vi aderiscono, soprattutto in un momento in cui siamo esposti tutti a due guerre, in Ucraina e in Palestina (cioè alle soglie d’Europa).
Tutti capiscono che gli Stati europei sono totalmente impotenti, se non hanno una politica estera comune ed un esercito comune. E invece l’Unione Europea si occupa solamente delle spiagge e dell’inquinamento, come se questo risolvesse il problema del riscaldamento globale.
È comunque ancora rassicurante che il 25 aprile, in Italia, sia una festa nazionale. E che – magari in alcuni casi a denti stretti – si ricordino ancora i partigiani che hanno difeso l’Italia contro il nazi-fascismo e che sono morti per questo.
Tuttavia, se scrivo questa breve nota – o questo breve sfogo? –, è perché credo che la Resistenza non sia un dato storico da celebrare, ma un movimento comune da ricostituire. In fondo, alla resistenza al fascismo collaborarono comunisti e cattolici, liberali e socialisti. Perché questo non potrebbe accadere di nuovo? A condizione che ci si ricordi che la politica non si fa solo acquisendo dei posti di potere e amministrando – per di più di solito male – degli interessi di alcuni gruppi sociali a spese di altri, ma si fa anche con le idee.
Insomma, oggi ci vorrebbero di nuovo delle idee, e ci vorrebbe qualcuno che le affermasse e sostenesse. Insomma ci vorrebbero dei nuovi partigiani. Non per organizzare degli attentati (attentati ce ne sono stati davvero troppi, negli ultimi ottant’anni), ma per mettere a punto delle idee. Alla fin fine, sono le idee che vincono le guerre (e anche di guerre ce ne sono state anche troppe, negli ultimi ottant’anni, e ce ne sono troppe ancora oggi), perché sono le idee che governano, ancor più che i Ministri e i Presidenti del Consiglio.
Insomma, se non ci saranno di nuovo dei partigiani, non si saranno nemmeno dei veri partiti. E, se non ci saranno dei veri partiti, non ci sarà nemmeno una vera democrazia. È questo che vogliamo?