L’Europa o l’occidente di Ettore Perrella
1. Dal 1967 al 2022
Due brevi testi di Milan Kundera, ripubblicati di recente1, offrono spunto per alcune riflessioni geopolitiche. Il primo, del 1967, è un discorso tenuto al congresso degli scrittori cechi, mentre il secondo, del 1983, è un articolo sulla situazione delle “piccole nazioni” europee – Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania ecc. – in un mondo che allora era, ancora per poco, dominato dalla separazione della cortina di ferro.
Oggi molte cose sono cambiate. Queste nazioni fanno parte della NATO, l’Unione Sovietica non esiste più. Ma l’attuale guerra in Ucraina dimostra che il problema posto da Kundera non è stato ancora risolto. Perciò seguiremo la sua esposizione a partire dal nostro punto di vista attuale, tenendo conto di ciò che è accaduto – o non è accaduto – negli ultimi cinquant’anni, per cercare di trarne delle conseguenze che possano auspicabilmente valere per il futuro.
2. Dalla Mitteleuropa al vandalismo
La piccole nazioni dell’Europa centrale, dice Kundera, hanno l’inconveniente di doversi proteggere dall’attrazione di quelle più grandi. Questo è evidente nel caso della Boemia, che ha sentito più volte la convenienza che avrebbero i suoi abitanti nel farsi assorbire dalla lingua e dalla cultura tedesche2. “In futuro”, dice Kundera, “questo mondo che non cessa di integrarsi”3 chiederà ai cechi perché si sono rifiutati di farlo. E continua: “È cruciale che l’intera società ceca sia pienamente consapevole del ruolo essenziale che svolgono cultura e letteratura”4, perché proprio queste tengono in vita una lingua parlata da pochi milioni di persone. E quanto Kundera avesse ragione nel sottolineare l’importanza anche geopolitica della cultura lo avrebbero dimostrato gli eventi che si produssero in Cecoslovacchia nel 1968. I carri armati sovietici non interruppero solo una riforma politica, ma anche uno sviluppo culturale. La tendenza all’integrazione delle culture appare a Kundera come un vero e proprio vandalismo.
Chi è il vandalo? […] I vandali che incontro io sono tutti letterati, soddisfatti di sé, con una discreta posizione sociale e senza particolari risentimenti nei confronti di chicchessia. Il vandalo è la superba ristrettezza di vedute che basta a sé stessa ed è sempre pronta a rivendicare i suoi diritti5.
Ricostruiamo le prospettive. Nel mondo della guerra fredda, le grandi culture erano quelle europee degli Stati occidentali (Francia, Gran Bretagna, Germania), le piccole erano quelle degli Stati inglobati nel Patto di Varsavia. Oggi questa distinzione non c’è più. E l’assimilazione culturale, fra il 1989 (caduta del muro di Barlino) e il 2022 (guerra in Ucraina), è stata subita anche dalle “grandi” culture dell’Europa occidentale. Oggi esistono ancora una cultura francese, una cultura italiana, una cultura tedesca o una cultura spagnola? In realtà si diffonde ovunque nel pianeta – e non solo in Europa – una sola koiné, la lingua inglese, e una sola concezione del mondo, scientificizzante ed empirista, semplificatrice ed omologante, che ha prodotto un cieco economicismo ed una politica che si è dimostrata incapace di rispondere prima alla pandemia, poi alla guerra che è tornata ad insanguinare l’Europa.
Oggi la globalizzazione è finita, almeno dal punto di vista politico. Ma con che cosa verrà sostituita? O meglio, con che cosa vogliamo sostituirla? Vediamo se le riflessioni che faceva Kundera mezzo secolo fa possono aiutarci a trovare una risposta a questa domanda.
3. Che cos’è la Mitteleuropa?
In primo luogo poniamoci due domande. 1. Perché le culture nazionali si sono estinte? 2. Esiste ancora quella Mitteleuropa alla quale si riferiva Kundera?
Sono domande difficili. Quando avevo vent’anni, andare a Parigi significava davvero entrare in un mondo culturale, al tempo stesso internazionale e francese, da cui avevo abbondantemente attinto nella mia formazione. Ma già pochi anni dopo, dopo la morte di molti dei protagonisti della cultura fiorita negli anni Sessanta e Settanta, era divenuto chiaro che nessun altro protagonista li avrebbe sostituiti. E lo stesso avveniva a Berlino o a Milano, a Vienna o a Londra. Il diffondersi ovunque della cultura informatica avrebbe diffuso – in primo luogo nelle università – un economicismo anglosassone di maniera, che semplificava i dati dei problemi impedendo addirittura di percepire dove fossero.
I paesi dell’Europa centrale, come la Polonia, dopo che sono stati integrati nell’Unione Europea e nella NATO, hanno cessato d’elaborare quella cultura rinnovatrice che aveva consentito per esempio di vedere in Solidarnosc un movimento al tempo stesso popolare e culturale di rinnovamento della grande tradizione polacca. Oggi la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria hanno smesso di rinnovare qualunque cosa, e sono divenute degli Stati governati da una classe politica di destra, che non fa nulla per favorire i progressi civili promossi, con tanta fatica, dall’Unione europea.
La Mitteleuropa era stata un centro d’elaborazione cruciale quando quei territori facevano parte già d’una comunità statale di fatto federale come l’Impero austro-ungarico. Kundera lo riconosce.
L’Impero austriaco aveva la grande opportunità di creare nell’Europa contrale uno Stato forte. Ma gli austriaci, ahimè, erano divisi fra l’arrogante nazionalismo della grande Germania e la loro missione centroeuropea. Non riuscirono a costituire uno Stato federale di nazioni uguali, e il loro fallimento fu una sciagura per l’intera Europa. Insoddisfatte, le altre nazioni centroeuropee nel 1918 fecero esplodere l’Impero, senza rendersi conto che, malgrado i suoi limiti, era insostituibile6.
Prima dei malaugurati successi del nazionalismo, fra il 1860 e il 1870, Milano faceva parte dello stesso Stato a cui appartenevano Vienna, Praga, Budapest, Leopoli. E comunque, anche dopo la riunificazione dell’Italia e della Germania, l’Austria-Ungheria costituiva già una sorta di casuale, ma felice, “unione europea”, nella quale convivevano pacificamente numerosi popoli e numerose culture, fra le quali un posto di primo rilievo spettava agli ebrei7. Ci si dimentica che l’Austria non è solo il paese in cui vissero Freud, Musil, Klimt, Mahler, ma è anche il paese in cui nacque Hitler.
Dobbiamo chiederci allora: che cos’era la Mitteleuropa? È mai stata qualcosa di più che la sovrastruttura casuale d’un Impero generatosi per complesse e in gran parte casuali congiunture dinastiche ed ereditarie? Da che cosa traeva la propria forza? E perché questa forza sembra essere del tutto scomparsa da almeno tre decenni?
4. Europa occidentale ed Europa orientale: alcuni problemi
Iniziamo, seguendo Kundera, dal 1956, quando, all’arrivo delle truppe russe che stavano invadendo l’Ungheria, il direttore di un’agenzia di stampa trasmise questo messaggio: “Moriremo per l’Ungheria e per l’Europa”8. Teniamo conto del fatto – che Kundera non poteva conoscere – che questo stesso messaggio è stato trasmesso poche settimane fa dal Governo ucraino a tutto il mondo, esattamente negli stessi termini. Il governo dell’Unione Sovietica nel 1956 e quello russo nel 2022 vogliono la stessa cosa: eliminare l’appartenenza d’un “piccolo Stato”9 all’Europa occidentale, vale a dire agli Stati di diritto democratici. “Che cosa intendeva dire” il direttore ungherese, si chiede Kundera?
Di certo che i carri russi mettevano in pericolo l’Ungheria e, insieme, l’Europa. Ma in che senso anche l’Europa era in pericolo? I carri russi erano forse pronti a varcare le frontiere ungheresi e a dirigersi a Ovest? No. Il direttore dell’agenzia di stampa ungherese intendeva dire che in Ungheria era l’Europa a essere presa di mira. Perché l’Ungheria restasse Ungheria e restasse Europa era pronto a morire10.
La Mitteleuropa, l’Europa “di mezzo”, sta fra l’Europa occidentale e l’Europa orientale. Ora, che differenza c’è fra le due Europe?
L’Europa geografica (quella che va dall’Atlantico agli Urali) è sempre stata divisa in due metà che si evolvevano separatamente: l’una legata all’antica Roma ed alla Chiesa cattolica (segno particolare: l’alfabeto latino), l’altra connessa a Bisanzio e alla Chiesa ortodossa (segno particolare: l’alfabeto cirillico)11.
Kundera, naturalmente, sta semplificando. Ciò nonostante emerge, nel suo scritto, per la prima volta e come per caso, Roma. L’Europa “di mezzo”, egli dice, sta dalla parte dell’Occidente, quindi della Chiesa cattolica. Perciò l’aggressione della Russia all’Ungheria nel 1956, alla Cecoslovacchia nel 1968 e all’Ucraina nel 2022 sono attacchi all’Europa occidentale, cattolica e latina, da parte dell’Europa orientale, ortodossa e “cirillica”.
Mi si consenta di osservare che i conti non tornano. L’URSS non era affatto ortodossa, perché era radicalmente antireligiosa12. E l’alfabeto cirillico si chiama così perché fu inventato dai Santi Cirillo e Metodio, che non erano cattolici romani, ma greci. Lo scisma del 1053 fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa si svolse attraverso la consegna d’un documento pontificio alla Chiesa di Costantinopoli nella cattedrale della Santa Sapienza (vulgo Santa Sofia)13.
La lingua “madre” della Chiesa ortodossa non è affatto il russo, ma il greco, vale a dire la lingua in cui fu scritto il Nuovo Testamento. Quindi la lingua madre della Chiesa ortodossa non è il russo, ma il greco. Tanto è vero che oggi in Ucraina non ci sono solo delle chiese ortodosse e cattoliche (uniate), ma anche due chiese ortodosse: una ucraina, che è stata autorizzata dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo14, ed una russa, che continua ad essere diretta dal Patriarca di Mosca Cirillo.
Ne consegue che lo scisma fra la Chiesa cattolica e quella ortodossa avvenne quando la capitale della Russia – e non dell’Ucraina – era ancora Kiev. Notiamo infine, a questo proposito, che l’appartenenza geografica della Russia all’Europa non ha mai impedito ai russi di considerarsi non europei, ma eurasiatici, come dimostra il fatto che almeno due terzi del territorio della Russia appartengono indiscutibilmente all’Asia. Del resto geograficamente è indiscutibile che nulla separa l’Europa dall’Asia, che sono radicalmente distinte solo dalle loro civiltà: la civiltà greca e romana non ha nulla a che vedere con quella cinese, con quella indiana o con quella persiana. “In mezzo” c’era solo una sterminata pianura senza storia, da cui emersero i numerosi popoli che invasero l’Occidente e la Cina, e che ora fa politicamente parte della Russia. Ma dalla Siberia non è mai stata prodotta nessuna civiltà: sia detto per confutare la tesi eurasiatica, che è stata sostenuta da molti ideologi russi che volevano considerare la loro patria autonoma dall’Occidente, visto che la sua autonomia dall’estremo oriente non andava affatto dimostrata, essendo totalmente evidente.
La prima distinzione fra l’Occidente e l’Oriente era già chiara al tempo di Erodoto, per il quale la Grecia aveva vinto il “dispotismo orientale” dell’Impero persiano.
Inoltre il concetto di democrazia è certo occidentale, ma risale al tempo dell’antica Grecia, quando l’Asia era solo una parte dell’attuale Turchia e l’Africa era l’attuale Tunisia. Inoltre il primo stato costituzionalmente democratico moderno non è nato affatto in Europa, ma in America. E la Chiesa cattolica non è mai stata democratica. Tutto questo basta a spiegare perché sia così difficile far coincidere il concetto di Occidente con il concetto di Europa.
5. Palatia
Che cosa allora distingue l’Europa occidentale dall’Europa orientale, o piuttosto la democrazia occidentale dall’autocrazia orientale? Riavvolgiamo la pellicola della storia. Se prescindiamo dall’antica Grecia, possiamo constatare facilmente che una prima divisione dell’Europa fra una parte occidentale e una parte orientale fu la divisione dell’Impero romano, per motivi amministrativi, fra il IV e il V Secolo, fra i due figli di Teodosio, Onorio e Arcadio. Quando, un secolo dopo, la prima Roma fu occupata da Teoderico, l’unico Impero rimase quello orientale, dal quale più tardi Giustiniano, a metà del VI Secolo, tentò di riconquistare anche la parte occidentale (l’Africa, la Spagna meridionale e l’Italia).
Naturalmente mentre avvenivano questi eventi nessuno parlava di Europa. Si cominciò a parlarne solo al tempo di Carlo Magno, che ricostituì un Impero in Occidente. Si cominciò a parlarne perché, attraverso l’espansione dell’Islam, che sottrasse all’Impero romano l’intera Africa, fino alla Spagna, e la Siria, l’unità dello Stato cristiano attorno al Mediterraneo fu interrotta per sempre (nel VII Secolo). Del resto l’Impero risorto in Occidente non venne mai riconosciuto da Costantinopoli come un Impero romano. La seconda Roma aveva in tutto e per tutto sostituito la prima. La prima rimase la sede del successore di Pietro, nella cui chiesa, costruita da Costantino (che oggi sarebbe stato un serbo), gl’Imperatori romano-germanici continuarono a venire incoronati per secoli.
L’ultimo degli imperatori incoronato da un papa fu Carlo V, nel XVI Secolo (a Bologna), quando la seconda Roma era ormai caduta da più di mezzo secolo nelle mani dei Turchi, il che consentì ad uno Zar di dichiarare che Mosca era la terza Roma.
Notiamo che da Carlo V la corona imperiale occidentale finì per divenire quella austro-ungarica (l’aquila bicipite, che era quella imperiale romana, fu utilizzata ovunque, persino sui francobolli, fino al 1918), mentre la stessa aquila bicipite, tramite la “terza Roma”, continuò ad essere usata a Mosca fino al 1917, per essere recuperata oggi nelle insegne del Cremlino.
Possiamo dire con una battuta che oggi l’Impero romano esiste ancora, e che il suo imperator è Vladimir Putin… Vedremo poi che questa non è solo una battuta.
Per incominciare a dimostrarlo, consideriamo il palatium. Il primo palazzo imperiale romano fu costruito sul Palatino, recuperando la figura del fondatore Romolo. Il Palatino, allora, si chiamava, appunto, Palatium. Il nome del colle si estese fino a poter essere dato a tutti i palazzi. Ma i palazzi che sorgevano in Palatio si chiamavano, semplicemente, domus (case) ed erano tre: la Domuns Augustana, la Domus Flavia e la Domus Tiberiana. Sul colle esisteva inoltre il tempio d’Apollo, al quale si poteva accedere liberamente, a differenza che alle domus15. Il Palatium era poi contiguo al Circo Massimo, dove si svolgevano le corse dei cavalli.
Il palatium imperiale di Costantinopoli era una vasta zona della città, fra la Chiesa della Santa Sapienza, il Circo (come a Roma) ed il mare, occupata da una serie di edifici residenziali, ma anche da chiese. L’esempio seguito da chi lo costruì fu senza dubbio quello del Palatium romano16.
Questa struttura non vi ricorda nulla? I cremlini russi (ce n’è più d’uno, nelle varie città) sono strutturati nello stessa modo. Se volete farvi un’idea delle residenze degli Imperatori romani dovete andare a Mosca. Il Cremlino è costruito seguendo lo stesso modello, eccetto che per il circo (lo sport era passato di moda da tempo)17, a meno che il circo moscovita non sia la Piazza Rossa.
Ora, in che modo questa specie di favola teologico-politica imperiale e architettonica può aiutarci a capire che cosa, oggi, sta accadendo nel mondo, quando una guerra si svolge in Ucraina, producendo migliaia di vittime e milioni di espatri?
6. La scomparsa della cultura europea
Torniamo a quel che dice Kundera sull’Europa centrale. “L’Europa non ha notato la scomparsa di questo grande crogiolo culturale perché non sente più la propria unità come unità culturale”18. Il problema quindi non è della Mitteleuropa, ma dell’Europa intera, ed è che la grande consapevolezza e la grande unità culturale che aveva vivificato il nostro continente dal Rinascimento agli anni Sessanta del XX Secolo sembra, oggi, essersi inaridita. La funzione delle “piccole nazioni” centro-europee può svolgersi solo all’interno d’una cultura europea viva e complessiva, com’era quella del XIX Secolo. Nella globalizzazione, in cui la cultura si è ridotta ad informazione, la Mitteleuropa non ha niente da dire perché l’Europa non sa dire niente, che non si uniformi al modello informatizzato e privo di radici che domina, attraverso la rete, l’intero pianeta. “Non c’è progresso”, diceva Lacan, perché tutti i progressi si pagano. Il progresso della globalizzazione rischia di venire pagato dall’esaurimento delle culture locali. A differenza dall’informazione, la cultura non può che essere locale, perché si nutre solo dalle sue radici, prima di tutto linguistiche, che sono radici corporee, di accoglimento individuale dei suoi contenuti e delle sue tradizioni.
7. Geopolitica della globalizzazione
In termini geo-politici, alla fine della seconda guerra mondiale l’Europa ha perduto i suoi privilegi culturali ed economici perché ha perduto i suoi privilegi politici e militari. L’Europa controllava, prima del 1917, interi continenti. Dopo il 1945 non controllava nemmeno se stessa, ed era attraversata da una cortina di ferro che la faceva rientrare in due “imperi” contrapposti: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Ed è da segnalare che quest’ultima, anche se controllava l’intera Europa orientale, veniva sentita come una potenza extra-europea, semplicemente perché era troppo grande per rientrare nel concetto che gli europei si facevano del proprio continente. Geo-politicamente, la guerra fredda veniva controllata da due potenze extra-europee.
Quando, nel 1989, cadde il muro di Berlino, gli Stati Uniti pensarono d’essere l’unico “impero” che poteva controllare l’intero pianeta. Questa idea, naturalmente, si è subito dimostrata illusoria. Nella globalizzazione sono emerse anche altre potenze che sarebbero in grado di gestire la politica internazionale: la Cina, l’India, i paesi arabi, i paesi europei, il Brasile, l’Australia. E, naturalmente, la Russia. Ma riconoscere questa molteplicità delle potenze avrebbe comportato un ritorno allo schema del confronto fra le potenze europee prima delle guerre mondiali, che era ancora lo schema che aveva presieduto alla pace di Vestfalia, nel XVII Secolo. Era molto più semplice, per gli Stati Uniti, pensare d’essere diventati, dopo l’implosione dell’URSS, l’unica superpotenza planetaria, tanto più che la globalizzazione diffondeva ovunque nel pianeta l’uso della lingua inglese e della stessa rete informatica e finanziaria. La grande omologazione culturale prodotta dalla globalizzazione, basata su una sola lingua, su una sola finanza, su una sola rete informatica, su una sola moneta, su una sola scienza, avrebbe costruito l’unico impero planetario. Ma già nel 2001 l’attentato alle torri gemelle di New York dimostrò quanto fosse illusoria questa ideologia, che pure fu sostenuta attraverso le guerre volute dagli Stati Uniti, con effetti disastrosi, in Afghanistan, in Iraq, in Libia e in Siria.
Questa interpretazione ideologica della storia era dunque falsa. Putin, attaccando l’Ucraina, ha dimostrato, prima ancora di vincere una sola battaglia, che essa illusoria (non a caso l’attacco all’Ucraina si è verificato pochi mesi dopo la vergognosa ritirata degli Stati Uniti dall’Afghanistan). Non per questo però Putin è riuscito a dimostrare che l’interpretazione della storia alla quale si atteneva lui era più giusta. Per dimostrarlo, avrebbe dovuto travolgere in tre giorni l’Ucraina e sostituire il suo governo con un governo fantoccio simile a quello che guida la Bielorussia. Solo questo avrebbe consentito di ricostruire la Russia una e trina degli zar. Ma questo progetto – comunque si concluda la guerra – è chiaramente fallito e Putin è riuscito solo a dare maggiore solidità alla NATO.
È sempre pericoloso quando i politici vogliono operare direttamente sulla storia, fino al punto di modificarla. Il loro governo rischia sempre di dimostrarsi fondato su un delirio politico, invece che sui dati di realtà. I politici che vogliono trasformare la storia sono sempre stati dei grandi tiranni, ed hanno quasi sempre fallito i propri scopi. Giustamente Kundera cita Witold Gombowicz: “Non scordiamoci che solo opponendoci alla Storia in quanto tale possiamo opporci a quella di oggi”19. La funzione dei piccoli Stati della Mitteleuropa era proprio questa: deridere le grandi visioni della Storia che hanno imposto all’umanità continue guerre e milioni di morti.
A questo proposito, Kundera ricorda la proposta, fatta nel 1937 da Franz Werfel, di fondare una “Accademia mondiale dei poeti e dei pensatori”20. Questa proposta era ingenua, dice Kundera, ma coglieva un punto fondamentale, come avrebbe dimostrato il futuro: la scomparsa della cultura europea richiedeva che essa fosse sostituita da una cultura mondiale effettiva, e non da una riduzione della cultura a informazione.
Ora, la cultura europea è scomparsa quando l’Europa ha smesso di controllare il resto del pianeta attraverso il colonialismo, abbiamo detto. Ma anche quando la sua classe dirigente ha smesso d’essere composta da “poeti e pensatori”. Oggi la classe dirigente dell’intero pianeta è costituita da tecnici, cioè da persone che non solo sono incapaci di pensare, ma che ritengono che pensare sarebbe solo un disturbo della tecnica. Vladimir Putin ha un pensiero politico, magari erroneo o inattuale, ma sicuramente ce l’ha. Per questo gli Stati Uniti hanno subito dichiarato che non bastava salvare l’Ucraina dall’aggressione russa, ma che il governo russo doveva essere rovesciato e sostituito non si sa bene da quale. Ed è proprio questa concezione totalitaria degli Stati Uniti – che del resto comporterebbe il rischio che la Russia divenga un’appendice della Cina – che è stata subito e giustamente rifiutata – anche se forse persino con troppa cortesia – dai paesi europei (dalla Francia, dalla Germania e dall’Italia). La troppa cortesia dipende dal fatto che i paesi europei potrebbero avere un peso, nella politica globale, solo se avessero una politica estera unitaria e gli strumenti per difendersi anche a prescindere dagli Stati Uniti. E non è certo attraverso il progettato riarmo della Germania che questo problema può essere risolto.
8. La politica deve sempre investire sulla formazione culturale
Ricostituire una classe dirigente competente dovrebbe essere quindi la prima meta d’una scelta politica coerente. Ma questa è una scelta che non fa nessuno: né l’America, né l’Europa, né la Russia, né la Cina. I politici vogliono solo ingrandire il proprio potere, non occuparsi della formazione delle nuove generazioni. E questo non può che portare allo scatenarsi di guerre, ovunque nel pianeta.
La globalizzazione, con la pandemia e la guerra in Ucraina, è finita, abbiamo detto. Sarebbe finita anche dal punto di vista finanziario, almeno se le sanzioni contro la Russia venissero estese anche agli approvvigionamenti energetici, cosa che è stata di fatto rinviata da alcuni e rifiutata, guarda caso, dalla “piccola” Ungheria. Ma è quanto basta per paralizzare l’intera Unione Europea.
Sarebbe triste se il trentennio della globalizzazione si concludesse ritornando ad una minaccia bellica continua fra le grandi potenze, vale a dire alla geo-politica della guerra fredda.
L’unica alternativa a questo fosco futuro è che si torni a pensare alla politica come ad un’attività culturale. Non basta l’informazione per progettare una scelta politica, ci vuole una cultura. E Putin ha una cultura politica, magari di raccatto, e quindi crede d’avere ragione nel rioccupare l’Ucraina, che per lui non è affatto uno Stato sovrano, ma una parte della Russia fuorviata dai “nazisti” americani. Putin potrà forse apparire ad alcuni come una figura diabolica, ma vede sicuramente meglio dei suoi nemici, proprio perché si sbaglia solo in parte, quando pensa di poter essere autore della Storia. La storia ha corsi e ricorsi, come diceva Vico, ma non si ripete.
9. I pro e i contra della globalizzazione
La globalizzazione è una dimensione insita in tutti gli Imperi, che hanno sempre teso ad estendere ed unificare i propri territori. Gli imperi pretendono d’uniformare la cultura, trasformandola in burocrazia, come ha sempre fatto, per esempio, la Cina. Forse soltanto l’impero romano è sfuggito alla concezione della cultura unica, perché era un impero bilingue, nel quale il diritto si esprimeva in latino, ma la cultura si faceva in greco. Quando le lingue si divisero, e si divisero di conseguenza anche le religioni e le scelte politiche, questo non giovò né all’Occidente, che si frantumò in una molteplicità di lingue e di nazioni, né all’Oriente, che rimase vincolato al potere assoluto del sovrano come a una maledizione (la cui ultima vittima è Vladimir Putin).
Ma che rapporto c’è fra l’imperialismo e l’Occidente? La Cina è sempre stata un impero, come l’Iran o l’India. Queste entità politiche tuttavia non sono mai state occidentali. Il primo successo dell’Occidente su un impero orientale fu la spedizione vittoriosa di Alessandro Magno sulla Persia. Ma la Persia risorse ben presto dalle proprie ceneri. L’unico impero antico occidentale fu sicuramente quello romano. Ed abbiamo visto che tutti gl’imperi europei hanno dovuto fare i conti, almeno simbolicamente, con l’autorità storica e giuridica di Roma.
Nel Medioevo, le nazioni europee, che vennero gradualmente a costituirsi, furono sempre considerate dei regni, prima d’intraprendere, in seguito alla scoperta dell’America, la formazione di propri imperi coloniali. Gli unici imperi riconosciuti come tali furono, in Europa, quello di Carlo Magno (che si poneva come una continuazione dell’Impero romano d’Occidente), che continuò nel Sacro Romano Impero e successivamente nell’Impero Austro-Ungarico; l’Impero bizantino – che semplicemente era ancora l’Impero romano, fino alla caduta di Costantinopoli nelle mani dei turchi; l’Impero russo, che pretese di continuarlo; e l’Impero ottomano, che riprese sostanzialmente tutti i territori dell’Impero Romano d’Oriente, anche se in versione musulmana e quindi non occidentale.
Quando, dopo la prima guerra mondiale, l’Impero austriaco e quello ottomano si estinsero, l’unico impero europeo che si ricollegasse a Roma restò, anche se in versione atea e comunista, l’Unione Sovietica. Bisogna però aspettare la fine della seconda guerra mondiale perché l’Unione Sovietica facesse da contraltare agli Stati Uniti d’America ed ai loro alleati. E bisogna aspettare Putin perché la Russia riprendesse un progetto non solo imperialistico, ma imperiale, se non nel nome, almeno nella sostanza.
Gli Stati Uniti, anche se hanno sempre avuto una politica imperialistica, non si sono mai posti esplicitamente come un impero. Del resto come avrebbero potuto, dal momento che in origine non erano che la federazione di tredici colonie britanniche?
Nessuno oggi prenderebbe sul serio un richiamo all’Impero di Roma, che di fatto è finito millecinquecento anni fa. Ma la politica di Putin – sia pure attraverso la metafora zarista prima e staliniana poi – sembra ricollegarsi alle forme autocratiche che l’Impero romano assunse in altre epoche. Se gli zar fossero riusciti a conquistare Costantinopoli, l’antica capitale dell’ortodossia, questa continuità fra l’Impero russo e l’Impero romano sarebbe divenuta totalmente evidente.
10. Putin e Basilio II
La politica ontioccidentale di Vladimir Putin somiglia in modo impressionante a quella degli Imperatori di Costantinopoli che tentarono – sempre fallendo – di ricostituire l’unità dell’Impero romano: Giustiniano, Eraclio, Basilio II. Solo quest’ideologia storica può giustificare i costi vertiginosi che ebbe questa politica fallimentare, e l’autocrazia benedetta ed ortodossa con cui essa s’è sempre paludata. Forse i modelli cui Putin pretende d’adeguarsi sono molto più russi che bizantini: Ivan il Terribile, Pietro il Grande, Caterina II, Alessandro I o Stalin. Ma il modello dell’autocrazia russa è sempre stato bizantino, come sono bizantine, pur essendo totalmente russe, le icone di Rublev o le cupole dorate delle cattedrali. Del resto lo stemma disegnato sulla bandiera russa, al fianco del Presidente Putin, è lo stesso degli zar, formato da un San Giorgio e il drago bizantino e dall’aquila bicipite romana, ma con tre corone.
Non a caso questo stemma imperiale zarista, ripreso dalla Russia attuale, è molto simile allo stemma del Sacro Romano Impero.
Ma soprattutto è straordinariamente simile a quello dell’Impero Austro-Ungarico.
Noi occidentali tendiamo a pensare – per una deformazione storica tipicamente occidentale – che la Grecia classica sia all’origine della nostra tradizione, ma che la Grecia medioevale, come l’Impero di Costantinopoli, sia orientale. È questa una deformazione che si spiega, se pensiamo che i primi ad espugnare la secondo Roma non furono i Turchi, ma i soldati occidentali della quarta crociata, che i costantinopolitani, che si chiamavano romani, consideravano barbari. È come dire che la cultura ortodossa è la cultura occidentale che più vicina è rimasta alle origini sia del cristianesimo, sia della politica imperiale. Pensare il problema in questi termini implica una trasformazione del modo in cui l’Occidente ha pensato se stesso, soprattutto da quando la scienza non si è più integrata con la metafisica21.
Integrare l’oriente cristiano nell’Occidente implica però alcune conseguenze geopolitiche inabituali: pensare che l’Occidente comincia a Vladivostok e finisce a San Francisco, che quindi include l’intera Asia settentrionale, l’Europa, le due Americhe e l’intera Oceania. Ma perché non pensarlo, visto che in questi vasti territori si parlano delle lingue europee?
11. Le radici popolari della cultura
Nessuno può sapere oggi, mentre scrivo, con quali esiti si concluderà la guerra in Ucraina. Tuttavia, comunque vadano le cose, è sicuro che l’ideologia ingenua della globalizzazione dovrà essere totalmente ripensata, nei prossimi anni.
Ma da chi? Un tempo i politici erano degli intellettuali, che facevano parte d’una classe dirigente coltissima, il cui ultimo rappresentante, in Europa, è stato forse Winston Churchill. Potremo ricostruire una formazione politica reale solo se ci accorgeremo che le competenze tecniche non bastano a produrre nessuna cultura e che il populismo si afferma solo quando i popoli perdono le loro radici.
Una nuova classe dirigente dev’essere composta da intellettuali colti, e non solo da specialisti della finanza o della scienza. Che cosa potrà formare questa “Accademia mondiale dei poeti e dei pensatori”? Per formarla non bastano le università, che hanno totalmente perso ogni contatto con la matrice popolare che ha sempre avuto la cultura.
Ci può essere una cultura che sia al tempo stesso globale e locale (“glocale”, come dicono alcuni)? La cultura è sempre e necessariamente vincolata a una lingua e ad un luogo, quindi non è “globalizzabile”. Ciò che può essere globale è solo il rispetto per la cultura degli altri. E la cultura russa, da questo punto di vista, non è meno essenziale, nel mondo, della cultura francese o di quella tedesca, della cultura cinese o di quella indiana, purché queste culture continuino a trasmettersi, e non vengano macinate e uniformate del tritatore anglosassone della tecnologia universale.
Universale può essere solo il rispetto pacifico per tutte le culture, perché tutte possono e devono contribuire alla formazione di nuove generazioni d’intellettuali e politici, che possano, in futuro, amministrare il pianeta senza fare ricorso alla minaccia della guerra.
1 M. Kundera, Un Occidente prigioniero, Adelphi, Milano 2022. 2 Ibid., p. 20. 3 Ibid., p. 27. 4 Ibid. 5 Ibid., p. 28 sg. 6 Ibid., p. 55. 7 Kundera (p. 61 sg.) giustamente attribuisce una grande importanza a questo popolo senza territorio, a questo popolo internazionale, che, prima del 1914, iniziò a ritornare in Palestina e che, prima del 1945, fu sterminato nei lager nazisti. 8 Ibid., p. 43. 9 “Piccola” del resto non è di certo l’Ucraina, la cui parte occidentale, tuttavia, faceva parte prima dell’Impero austriaco, poi della Polonia, mentre la parte meridionale e orientale, nelle mappe dell’inizio del Novecento, era chiamata “Russia meridionale” (l’Ucraina era solo la parte centro-settentrionale, attorno a Kiev), cioè con un nome che oggi potrebbe giustificare l’assimilazione del Donbas voluta da Putin. 10 M. Kundera, op. cit., p. 43. 11 Ibid., p. 45. 12 Per caso, trovandomi a San Pietroburgo nel 1992, assistetti alla riconsacrazione della cattedrale di Kazan, la cui navata principale era ancora allestita come un museo dell’ateismo, mentre solo il transetto era stato parzialmente riallestito secondo i dettami della liturgia ortodossa. 13 Segnalo che la cattedrale di Kiev, che fu la prima cattedrale russa, ha esattamente la stessa intestazione. Non a caso nella scorsa Pasqua il Presidente Zelenskyj, pur essendo ebreo, ha fatto i suoi auguri agli ucraini proprio dall’interno di quella cattedrale. 14 Che ho conosciuto personalmente, quando mi sentii in dovere di consegnare alla Chiesa di Costantinopoli una copia della mia traduzione delle opere di San Gregorio Palamas. Del resto sono nato in una città italiana che fu fondata dai greci, come attesta il suo nome, Kallípolis; in cui nel VI Secolo si parlava latino (come attestano le lettere di San Gregorio Magno al suo Vescovo); e che fu rifondata dall’Imperatore Basilio il Macedone nel IX Secolo, con dei coloni provenienti da Eraclea Pontica; e in cui fino ad almeno il XIV Secolo si continuò a parlare greco. 15 Il Palatium romano si espanse con la domus aurea neroniana solo per poco, poi si ridusse di nuovo al Palatino, restituendo alla città l’area in cui sorse il Colosseo e quella della domus aurea, che fu sommersa dalle terme di Traiano. 16 Anche i palazzi imperiali indiani (ad Agra) e cinesi (a Pechino) sono strutturati nello stesso modo: un solido muro di cinta ed, all’interno, differenti costruzioni residenziali, militari ed amministrative. 17 I palazzi imperiali di San Pietroburgo, invece, obbediscono a criteri occidentali: sono veri palazzi individuali, costruiti sull’esempio del Louvre o di Versailles. Le residenze papali a Roma seguono entrambi gli schemi: il palazzo del Laterano è una costruzione individuale, risalendo ad un tempo in cui il Vescovo di Roma non si era auto-attribuita nessuna funzione imperiale; ma il Vaticano ha esattamente lo stesso schema del Cremlino: un alto muro che circonda numerosi palazzi, mentre chiunque ha libero accesso solo alla basilica di San Pietro (come accadeva al tempio di Apollo sul Palatino ed oggi accade agli edifici religiosi inclusi nel Cremlino). Il palazzo del Quirinale è invece una grande costruzione individuale, strutturata come le regge rinascimentali e barocche, o come la Casa Bianca di Washington o la Casa Rosada di Buenos Aires. 18 M. Kundera, op. cit., p. 65. 19 Ibid., p. 63. 20 Ibid., p. 68. 21 Di questo mi sono occupato molto a lungo, quando ho tradotto in italiano le opere di Gregorio Palamas (Bompiami, Milano 2003-2006) ed ho scritto il mio Dialogo sui tre principi della scienza (di recente ripubblicato da Polimnia, Sacile 2022).
Nella foto: Milan Kundera