Parlamento mondiale e sovranità democratica di Ettore Perrella
Da quando, con l’implosione dell’Unione Sovietica, è di fatto finita la guerra fredda, viviamo in un mondo “globale”, nel quale però la guerra non è affatto scomparsa dall’orizzonte delle cronache. Alla fine del XVIII Secolo, Immanuel Kant aveva compreso che l’unico strumento per evitare per sempre le guerre sarebbe stata la creazione d’una sovranità universale, vale a dire d’una federazione di tutti gli Stati del pianeta. Certo, allora, come oggi, questa ipotesi era un’utopia. Questa utopia, tuttavia, soprattutto in seguito alla due guerre mondiali, s’è blandamente realizzata, con la creazione di alcuni organismi internazionali. Non è affatto un caso che la prima guerra mondiale abbia consentito la creazione della Società delle Nazioni (alla quale però gli Stati Uniti, che pure l’avevano promossa, non aderirono mai); e che la seconda guerra mondiale abbia consentito la realizzazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che pure non ha mai avuto alcuna autonomia decisionale diversa da quella degli Stati: e questo naturalmente significa che non ne ha mai avuta nessuna.
Sul piano del diritto, non è nemmeno casuale che, dopo il processo di Norimberga, sia stato accettato come un presupposto giuridico largamente condiviso che esistano dei reati contro l’umanità e dei crimini di guerra che nessuna sovranità statale basta a giustificare. Nessuno, però, ne ha tratto la conseguenza logica necessaria: che, se questo è vero, allora esiste già una sovranità globale, che però nessuno riconosce.
Il fatto che il numero degli Stati che sul pianeta si riconoscono a vicenda la propria sovranità sia passato dai pochi che sottoscrissero, a metà del XVII Secolo, la pace di Vestfalia, a più di duecento, che aderiscono all’Onu, nulla ha modificato nella concezione classica della sovranità, secondo la quale solo gli Stati – eredi degl’Imperatori e dei Monarchi – hanno in monopolio della violenza legittima, che esercitano all’interno con i corpi di polizia e nel diritto penale e all’esterno con gli eserciti e gli armamenti.
Certo, l’ipotesi di creare un Parlamento mondiale1, democraticamente eletto, eliminerebbe la guerra perché eliminerebbe il nemico (a meno che una fantascientifica invasione aliena non lo facesse emergere dallo spazio). Ma appunto, la creazione d’un Parlamento mondiale richiederebbe necessariamente la creazione d’una sovranità unica mondiale, e quindi l’adesione di tutti gli Stati del pianeta ad una federazione.
Neppure l’idea che più Stati nemici possano accordarsi per realizzare un progetto federativo è, oggi, solo un’astrazione, visto che quest’idea sta alla base dell’Unione Europea, che in effetti è già una federazione, anche se molto annacquata, e che ha molti nemici, anche fra gli Stati che vi hanno liberamente aderito. In particolare tutti i sovranismi – sia quelli di Stato, come nel caso dei Governi dell’Ungheria e della Polonia, sia quelli dei partiti di destra – continuano ancora oggi a far coincidere la sovranità con lo Stato nazionale, indifferenti al fatto che questa soluzione ha comportato due guerre mondiali e decine di milioni di morti.
In realtà l’idea stessa della federazione fra Stati è fondata sull’assunzione d’un principio democratico almeno implicito. Ciò pone l’enorme problema – filosofico, prima che politico – di capire come venga considerata, oggi, la sovranità. Che la coincidenza fra la sovranità e gli Stati abbia prodotto gli eccessi del nazionalismo ha fatto sì che l’uso stesso di questo termine, a partire dal secondo dopoguerra, divenisse scomodo. Ma mentre gli Stati, nella globalizzazione, cedevano a denti stretti parte della propria sovranità, per esempio consentendo ai capitali di spostarsi liberamente sull’intero pianeta, altre entità, che non avevano nessuna giustificazione democratica, intanto la usurpavano, per esempio i gruppi finanziari o le organizzazioni terroristiche, che spesso hanno attualmente più potere di molti Stati, e quindi anche molta più sovranità (benché nessuno sappia di chi, precisamente, sia).
Dopo la fine della guerra fredda, dicevamo, questa situazione non ha affatto contribuito alla pacificazione del nostro pianeta, anzi ha spesso contribuito a creare dei conflitti economici, politici e talvolta militari molto aspri. Non a caso il secolo attuale è iniziato con il sanguinoso attentato alle Torri gemelle di New York, che ha provocato lunghe e sanguinose guerre in Asia.
A chi spetta, quindi, la sovranità, nel mondo globalizzato? Agli Stati o ai cittadini? Alle organizzazioni terroristiche o alla finanza? Alle dittature o addirittura alla criminalità?
Carl Schmitt, la cui filosofia giuridica è tutt’ora accusata a torto d’essere di destra2, ha posto al centro della propria teoria della sovranità il concetto di stato d’eccezione, che d’altronde traeva da un articolo della Costituzione della Repubblica di Weimar. Per Schmitt è sovrano chi può decidere negli stati d’eccezione. Di questo articolo, com’è noto, si servì Hitler per sospendere definitivamente la Costituzione tedesca, anche se in termini perfettamente costituzionali: il che basterebbe a dimostrare che il costituzionalismo non basta a salvaguardare la democrazia né dalle dittature né dalle guerre. Schmitt, comunque, non pensava affatto che le sovranità potessero mai fondersi in una sola. E non possiamo non riconoscere che il tempo in cui è vissuto (è morto poco prima della caduta del muro di Berlino) non gli dava torto. Schmitt pensava quindi che il pacifismo non avrebbe mai potuto evitare il rischio d’una guerra.
La recente pandemia, che ha travolto in pochi mesi l’intero pianeta, ha subito evocato il concetto di stato d’eccezione3. Nulla avrebbe potuto giustificare, altrimenti, le rigide misure di lock-down che sono state decise anche dai Paesi democratici. Il dibattito, acceso e persino ossessivo, che tutto questo ha prodotto nei media, però, si è sempre imperniato sugli effetti e sui rimedi della diffusione del virus, senza entrare quasi mai nei complessi problemi costituzionali e di filosofia del diritto che le decisioni dei governi implicavano. Ma, mentre i governi decidevano, alcuni continuavano a pensare che la pandemia, nonostante i cinque milioni di morti che ha provocato, non esistesse, e che tutte le decisioni dei governi dipendessero da un piano di controllo mondiale orwelliano da parte d’un oscuro centro di potere sovranazionale.
Non posso qui entrare nei dettagli del problema. Per quanto mi riguarda, credo che le misure restrittive siano state perfettamente giustificate dalla situazione. Ciò non toglie però che le misure di sicurezza devono essere necessariamente limitate nel tempo, oltre che dalla necessità di arginare il contagio, perché, se così non fosse, la pandemia si presterebbe benissimo ad offrire una giustificazione perfetta a quel potere autocratico, fondato sul controllo della salute, che era stato descritto alcuni anni fa da Michel Foucault.
Il recente dibattito sulla pandemia tuttavia, come dicevamo, s’è focalizzato sempre sugli aspetti emergenziali, senza mai toccare il vero problema politico e giuridico che essa ha posto: di chi è ed a chi spetta la sovranità, nel mondo globalizzato? L’ipotesi del Parlamento mondiale comporta che la sovranità nel mondo d’oggi spetti a sette miliardi d’essere umani. E questo pone sicuramente un problema, perché l’ideale di partecipazione democratica è sicuramente diffuso in tutti i Paesi occidentali, ma lo è molto meno in Cina, in India o in molti Paesi arabi.
L’ipotesi della federazione mondiale planetaria rimane quindi francamente utopistica. E tuttavia credo possibile dimostrare che essa è anche teoreticamente l’unica possibile, almeno se non si vuole che il pianeta stesso in cui viviamo inizi a diventare invivibile, per effetto dei cambiamenti climatici e dell’aumento della popolazione. Diviene quindi necessario creare un movimento politico globale che non solo condivida questa soluzione, ma costringa anche i Governi di tutti gli Stati del pianeta a sottoscriverla.
Credo che, in questa prospettiva, l’Unione europea sia un campo privilegiato d’intervento, sia perché un’ombra di federazione europea già esiste, sia perché i Paesi europei, pur parlando lingue diverse, condividono un’unica tradizione culturale e civile. Tuttavia un movimento politico europeo realmente federalista non esiste, e nulla lascia credere che si stia creando. Infatti le decisioni politiche europee sono sempre state prese dai Governi, e sono sempre anche state intralciate dai Governi. Ma ad esse la volontà popolare non ha quasi mai contribuito.
Per realizzare un Parlamento europeo che fosse dotato d’effettivi poteri decisionali, sarebbe necessario che i popoli europei si riconoscessero parte d’un unico popolo; come, per realizzare un Parlamento globale, sarebbe necessario che tutti i popoli si riconoscessero parte d’un unico popolo mondiale.
Certo, i rischi geopolitici che corre il nostro pianeta dovrebbero favorire quest’assunzione di consapevolezza, che tuttavia è ben lontana dall’essere automatica. E, per preparare una qualunque realizzazione pratica di questo progetto, saranno forse necessari dei decenni, se non dei secoli, di preparazione culturale e civile.
1 Cfr. M. Capanna, L’assise dei popoli, in AA.VV., Parlamento mondiale. Perché l’umanità sopravviva, Santelli, Milano 2021.
2 Così la considera ancora G. Agamben, che pure non ha potuto che partire dalle sue tesi nel suo monumentale Homo sacer. Edizione integrale, 1995-2015, Quodlibet, Macerata 2018. Sui motivi per cui queste valutazioni dell’opera di Schmitt mi sembrano false e pretestuose mi sono soffermato nel mio Sette miliardi di ebrei. Considerazioni etico-politiche sull’ebraismo e l’antisemitismo, NeP, Roma 2020.
3 Ne ho parlato in un mio breve libro, E. Perrella, La psicanalisi oltre le pandemia. Atto analitico, atto politico, atto sovrano, Poiesis editrice, Alberobello 2020.